Il primo ottobre 1903 nasceva Vladimir Horowitz, uno dei più grandi pianisti mai esistiti.
Nacque in Ucraina nella cui capitale, Kiev, crebbe e studiò. Ma chi è per noi Vladimir Horowitz?
Per l'uomo del XXI secolo ricordare e parlare di persone nate cento anni prima, cioè in un'epoca molto più vicina all'Ottocento, con tutto il suo gusto di cose vecchie e ormai tramontate, può sembrare o tempo perso o un modo leggermente snobistico di distinguersi dalla banalità delle migliaia di discorsi futili e superficiali che sentiamo quotidianamente alla televisione od alla radio.
Ma, come dice Seneca nelle Lettere a Lucilio: «... I progressi ottenuti con gli ammaestramenti sono lenti, quelli invece ottenuti con esempi concreti sono più immediati ed efficaci...»; ricordando l'esempio che ci ha lasciato Horowitz l'uomo moderno può in brevissimo tempo recuperare lo spirito di un tempo lontano, quello dei nostri nonni e dei loro padri, percepire uno slancio in grado di riprodurre, con il suo strumento, i drammi, le gioie, le alterne vicissitudini dell'umanità di ogni tempo e le sue infinite emozioni, ed infine, capire a quali vette può arrivare la vera Arte.
Chi ha ascoltato sin dalle tenera età le incisioni discografiche ed ha avuto la fortuna di vedere i pochi documenti video esistenti di questo eccelso pianista, sa che queste parole non sono vuota retorica.
Fin dai suoi esordi Vladimir Horowitz esercitò sul pubblico che assisteva alle sue interpretazioni un magnetismo, un carisma ed un fascino che non erano riscontrabili nella stragrande maggioranza dei suoi colleghi. In altre parole egli ebbe quel dono che la natura concede a pochi esseri umani; come per esempio a Maria Callas nel canto lirico, ad Arturo Toscanini nella direzione d'orchestra od a Nathan Milstein fra i violinisti (solo per citare alcuni nomi). La vita artistica del Nostro fu caratterizzata da incontri e frequentazioni di personalità illustri del mondo della musica, delle arti figurative e delle lettere. Già da piccolo ebbe un incontro, grazie allo zio, con il grande compositore russo Alexander Skrjabin. Da quest'ultimo il pianista undicenne fu ascoltato e accomiatato dalle parole che lo stesso Horowitz ricorda: «dovevo diventare una persona colta. C'erano, disse, molti pianisti, ma pochi di loro erano persone colte».
Le parole di Skrjabin lo influenzarono per tutta la vita. L'ultimo maestro di Horowitz, dal 1919, fu Felix Blumenfeld, pianista virtuoso, compositore e direttore d'orchestra (a Parigi Toscanini lo aveva visto dirigere il «Boris Godunov» di Mussorgsky e ne era rimasto impressionato!). Blumenfed fu, come pianista, allievo di Anton Rubinstein e di Nikolaj Rimskj-Korsakov come compositore. Già da queste notizie si può capire in un istante quale tipo di eredità musicale ricevette in linea diretta Horowitz, visto che in musica come nelle altre arti nulla ha più importanza ed influenza del rapporto maestro-allievo.
Nel drammatico periodo successivo all'entrata in guerra della Russia (1914) e della Rivoluzione d'Ottobre (1917), la vita del giovane pianista, come quella di molti altri artisti suoi conterranei, fu scossa profondamente.
La rivoluzione in Ucraina arrivò più tardi e, come dice Horowitz stesso: «quando i bolscevichi arrivarono a Kiev rubavano, volevano violentare le donne, vennero a casa nostra e buttarono dalla finestra il pianoforte. Tutta la casa fu messa a soqquadro, libri, musica, mobili, tutto.».
Da quel momento il diciassettenne Vladimir (detto familiarmente Volodia) cominciò la sua carriera concertistica, prima nella nativa Ucraina e poi in Russia. Fu in quel periodo che strinse una grande amicizia con il magnifico violinista Natan Milstein, praticamente suo coetaneo. La sua fama cominciò a spargersi velocemente; arrivato in Europa Occidentale, prima in Germania, e poi in Francia (a Parigi), divenne ben presto l'idolo di tutte le platee, grazie sia alla sua bravura interpretativa sia alla sua figura: snello, pallido, ma dotato di una fortissima attrattiva. Nel 1928 andò in America ed ivi rimase fino alla morte. In quel continente erano emigrati molti altri artisti europei, fra cui l'eccelso pianista-compositore Sergej Rachmaninov, con il quale condivise il rapporto di amicizia forse più importante della sua vita. Le collaborazioni artistiche con i più grandi direttori d'orchestra del suo tempo lo portarono ad incontrare anche colui che fra di essi era considerato un vero mito vivente, capace di suscitare soggezione e venerazione in chiunque: Arturo Toscanini. Horowitz ne sposò la figli Wanda e con lei visse fino all'ultimo dei suoi giorni. Wanda fu una donna capace di capire e sostenere veramente suo marito, anche in momenti drammatici, visto che ebbero il grande dramma di vedere morire, nel 1975, l'unica figlia, Sonia.
La carriera concertistica di «Volodia» fu segnata da alcune interruzioni determinate da vari fattori, non ultimo fra i quali l'enorme stress a cui era sottoposto con i continui viaggi nel continente americano per le sue tournèes. La pausa più lunga fu quella di dodici anni, fra 1953 e il 1965. Ma dopo il suo storico ritorno alle scene con il mitico concerto del nove maggio 1965 alla Carnegie Hall di New York, conobbe una nuova grande stagione nella sua vita artistica che si concluse solo con la morte, e che lo portò ad esibirsi anche alla Casa Bianca di fronte al presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter e a Londra davanti al Principe Carlo d'Inghilterra e Lady Diana.
Horowitz cessò di vivere improvvisamente il 5 novembre 1989, quattro giorni prima del crollo del Muro di Berlino. Egli è sepolto nel Cimitero Monumentale di Milano, nella tomba di famiglia dei Toscanini.
Con lui tramontò un'epoca di cui, sicuramente, non possiamo più vivere e condividere gli stessi valori ed ideali estetici, ma di cui possiamo serbare comunque il più vivo ricordo per esserne ispirati e per ereditare ciò che può infondere nuova linfa vitale ai valori ed agli ideali, forse, impoveriti del nostro secolo appena iniziato.
Scritto in collaborazione con Alberto Bruni per il 100° anniversario della nascita di Vladimir Horowitz