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martedì 26 agosto 2008

La Sesta Sinfonia di Mahler a Cremona (Myung Whun Chung e l’Orchestra Filarmonica della Scala


Myung Whun Chung alla testa dell’Orchestra Filarmonica della Scala e l’oboista Francesco Di Rosa hanno regalato a Cremona uno dei più memorabili appuntamenti con la grande musica sinfonica del Novecento storico tedesco.


Appartenente all’ultima stagione compositiva di Richard Strauss, edito appena un anno prima della morte del compositore (1948), il Concerto per oboe e piccola orchestra incarna uno stile assolutamente personale dal carattere inconfondibile in cui l’antico ed il moderno si trovano direttamente accostati in una sorta di neoclassicismo brulicante di motivi puntillisti sui quali si sono innestate perfettamente le funamboliche cadenze solistiche di Francesco Di Rosa. 


La Sesta Sinfonia, come diceva Gustav Mahler: «proporrà enigmi con i quali potrà cimentarsi soltanto una generazione che abbia accolto in se e assimilato le mie prime cinque sinfonie». Abbozzata nel 1903, finita nel 904 e poi strumentata nel 1905, la Sesta descrive la morte del titanico eroe, protagonista delle prime cinque Sinfonie. «La tendenza spirituale della Sesta è spiccatamente pessimistica, il suo tono fondamentale ha il sapore dell’amaro gusto della vita [...] Mahler la chiamò “Tragica”; le vette sinfoniche del finale, nella loro oscura violenza, sono simili alle enormi onde dell’oceano, che si abbattono sulla nave e la portano alla distruzione», queste sono le parole con cui il direttore d’orchestra Bruno Walter si esprimeva a proposito del lavoro del proprio maestro, amico e confidente: Gustav Mahler.


Il direttore coreano Myung Whun Chung ha catapultato il numerosissimo pubblico cremonese in un clima di rasserenante desolazione concertando con grande padronanza (ha diretto tutto a memoria) una composizione così tragica, prodotta paradossalmente nel periodo più felice vissuto dal compositore.


Una Sinfonia della durata di circa 80 minuti, durante i quali l’Orchestra Filarmonica della Scala ha tenuto con il fiato sospeso un uditorio generoso di applausi e grato di avere ascoltato, anche a Cremona,  un programma concertistico degno delle più prestigiose rassegne sinfoniche europee.

mercoledì 20 agosto 2008

Memorie di grandi direttori in concerto (3): Lorin Maazel

 Lorin Maazel


suggello della Stagione Concertistica 2003-2004 del Teatro Amilcare Ponchielli di Cremona, si è celebrato il sodalizio sinfonico tra la giovane Orchestra Filarmonica Arturo Toscanini ed il vegliardo direttore-violinista Lorin Maazel: in programma la IV Sinfonia di  Mendelssohn e la I Sinfonia di  Mahler.


Più che in Mendelssohn, la componente ebraico-musicale è estremamente riscontrabile nella musica di Mahler. Nonostante egli abbia tentato più volte di stemperarla nella sfera cantabile del lied ereditata dai prediletti Haydn e Schubert, nel concetto di «musica-poetica» di Schumann, nella ciclicità dei temi, nel leit motiv di Wagner, nella confortante severità del corale luterano e del contrappunto rigoroso di Bach; questa riemerge, tra i walzer della Vienna decadente, intonata da un violino “errante” vibrante melodie di sapore frigio, dal continuo contraltare tra i modi maggiore-minore, dal suono sfumato di un'orchestrina kletzmer, dagli squilli del «corno di Gabriele». 


Tutto ciò è nel DNA della grande musica di Mahler, assolutamente manifesto sin dalla sua I Sinfonia. Lorin Maazel ha letteralmente rapito l’attenzione dello strabordante pubblico cremonese. 


Egli ha infatti enfatizzato la componente operistica della musica di Mahler: l’unico compositore-operista, che però non ha mai scritto un’opera lirica; bensì Nove Sinfonie nelle quali sin dalla prima nota si alza il sipario e si consuma una tragedia  dalle emozioni laceranti e dai contrasti manichei, che ha come protagonista l’universo dell’umano sentire. 


Hanno colpito l’assoluta padronanza tecnico-espressiva dell’Orchestra Toscanini, composta totalmente da giovani e promettenti musicisti. Il gesto estremamente preciso ed elegante, distaccato, ma coinvolgente di Maazel è stato preso alla lettera dalla sicura compagine orchestrale. 


Ne è scaturita un’interpretazione che ha posto l’accento sul Mahler chiave di volta nel passaggio dalla grande tradizione musicale tedesca di durata secolare, alla rottura tonale effettuatasi nel primo ventennio del secolo scorso. Maazel ha sviscerato la linfa vitale che nutre la musica di Mahler: Bach, Haydn, Beethoven, Schumann, Wagner, Bruckner; ed ha fatto presagire cosa essa sia poi diventata passando attraverso le mani di Schönberg, Berg e Webern.

martedì 19 agosto 2008

Memorie di grandi direttori in concerto (2): Claudio Abbado


Ecco un Claudio Abbado in gran spolvero che per due sere di seguito fa il “tutto esaurito”, naturalmente riempiendo di pubblico il «Ponchielli» di Cremona. Ma, soprattutto riempiendolo di musicalità, sempre tesa a battere repertori - meno usuali o più esplorati - con una visione di fondo sempre nuova e sorprendente. 

Come nel caso di Beethoven, un compositore la cui musica è assolutamente “di repertorio”, mediato da una lettura individuale, convincente ed espressiva. 

Partendo dall'edizione dell'«Eroica» curata dal musicologo Jonathan Del Mar, Abbado ha dato vita ad una enorme variazione in sviluppo quale è in sostanza la Terza Sinfonia. L'Orchestra Mozart ha seguito alla lettera la concertazione “puntillista” di Abbado, il quale ha trattato le famiglie strumentali (archi, legni, ottoni) con un'impronta solistica, ponendo attenzione ad ogni sonorità, perfettamente udibile singolarmente, ma straordinariamente coesa nell'amalgama sonoro: che meraviglia lo Scherzo! Anche dopo averlo ascoltato centinaia di volte, la bacchetta di Abbado è riuscita a dischiuderlo come fosse inaudito.


Sbalorditiva freschezza ed originalità hanno pervaso l'intero programma beethoveniano, iniziato con la tempestosa Ouverture Coriolano (eseguita sia nella strumentazione originale, sia in quella mahleriana) e proseguito con l'«Eroica». Ottima anche  la prova fornita dal fagottista Guilhaume Santana, solista nell'immancabile tributo al Mozart del Concerto per fagotto e orchestra


Di concerti simili se ne dovrebbero organizzarne sovente, serate arricchenti capaci di trasmettere messaggi universali che vanno al di là del puro tecnicismo, messaggi di umanità e di fiducia in un futuro in cui si possa ancora parlare la lingua della cultura ed essere ancora ascoltati e capiti.

lunedì 18 agosto 2008

Memorie di grandi direttori in concerto (1): Georges Prêtre



Senza nulla togliere a direttori di fama mondiale - ospiti delle passate edizioni della  Stagione Concertistica promossa dal Teatro A. Ponchielli di Cremona - come Giuseppe Sinopoli, Riccardo Chailly, Lorin Maazel, Riccardo Muti e Myung Whun Chung; Georges Prêtre (che da poco ha compiuto 84 anni!) appartiene ad una “razza”, purtroppo, in via d’estinzione. 

Karajan, Bernstein, Solti, Celibidache, Kleiber e Giulini, ahi noi, non ci sono più! E Prêtre è davvero un direttore di “razza”, che, oltre ad aver guidato le migliori orchestre del mondo, aver lavorato con i più importanti artisti del Novecento, ha pure contribuito alla diffusione della musica contemporanea. In particolare della musica di Francis Poulenc, la cui arte è un inno alla squisita vena  melodia, tipica del gusto francese, e che affonda le proprie radici in compositori come Massenet, Gounod, Bizet e Saint-Saëns

Compositori molto amati ed eseguiti da Prêtre. Poulenc era solito dire «la mia musica è il mio ritratto», e Prêtre sembra far proprio questo precetto. La “sua” musica  non è solamente quella francese, ma quella che più ama e che meglio rappresenta la sua grande sensibilità d’artista. Ecco allora i prediletti Wagner, Strauss, Mahler, accanto a Debussy e Puccini. Ecco  quindi la scelta di presentarsi a Cremona con gli amori giovanili, come la Sinfonia Fantastica di Hector Berlioz, e quelli della maturità, come il poema sinfonico Don Juan ed il Duetto Concertino di Richard Strauss. 


Per apprezzare un direttore così straordinario, però, lo si deve ascoltare alla guida di un altrettanto eccellete orchestra sinfonica. I grandi direttori ospiti del «Ponchielli» si sono sempre avvalsi di buone ed ottime compagini orchestrali (dall’Orchestra della Scala, alla Toscanini), ma la Staatskapelle di Dresda, regge il paragone solamente con ininterrotte ed indiscusse, “leggendarie”, tradizioni musicali come quelle dei Berliner e dei Wiener Philarmoniker!


L’estasi sonora guidata dal gesto travolgente di Prêtre ha disegnato a caratteri d’oro una indimenticabile serata. Una serata che ha tenuto incollato alle sedie del Teatro un enorme pubblico, lo stesso che dopo un concerto di quasi due ore e ben due bis (la Barcarola di Offenbach ed una Danza Ungherese di Brahms), si è prodigato in una interminabile ovazione di applausi.



lunedì 11 agosto 2008

Memorie di grandi pianisti in concerto (3): Maurizio Pollini


Appena scoccate le 20 e 30, l'attesa dell'affollato uditorio del «Ponchielli»  - forte di molte presenze forestiere, attirate dalla “calamita” Maurizio Pollini - si è fatta ancora più palpabile. Ancora qualche minuto prima dell'ingresso del celebre pianista milanese, e poi, in un clima di raccoglimento principiano a dipanarsi le 11 Bagattelle op. 119 di Beethoven


Piccole improvvisazioni, pezzi caratteristici, di dimensioni ridotte, ma ricche di idee. Catullo chiamava i propri carmi nugae, bagattelle. Letteralmente inezie, naturalmente non per contenuto e stile, quanto per l'esiguità della forma. Così dobbiamo intendere le Bagattelle op. 119, come anche le tarde op. 126, ovvero come un campionario amplissimo di idee musicali, spunti motivici e tematici, imbrigliati in una composizione formalmente perfetta, ma di ridotta fattezza.


Questo piccolo ciclo beethoveniano è servito a Pollini come momento riflessivo da cui partire, per poi passare all'articolata e massiccia Grosse Sonate für das Hammerklavier op. 106. Il tocco di Pollini si è mostrato molto energico, alla ricerca di sonorità ruvide e grezze, ottenendo uniformità di suono ed esiguità di colori. Una lettura volutamente "pesante" di una delle opere pianistiche più complesse dal punto di vista della coerenza globale della forma musicale.


I 24 Préludes op. 28 di Chopin hanno proseguito e sigillato la serata in maniera simmetrica. Ovvero, l'esordio con le 11 miniature beethoveniane e la chiusa con un microcosmo di 24 pezzi di carattere, ognuno diverso per stile ed idea. Un vero “cavallo di battaglia” di Maurizio Pollini.

I Preludi sono scorsi senza soluzione di continuità, uno dopo l'altro, l'enorme (forse eccessivo) controllo emotivo di Pollini non ha regalato momenti di abbandono al pathos

La lettura analitica, cifra caratteristica del suo pianismo, ha comunque straordinariamente colpito il pubblico. Tra standing ovation ed applausi interminabili la generosità di Maurizio Pollini è trasparsa dai tre bis chopiniani  - forse il momento più alto dell'intero concerto - lo Studio op. 10 n. 12, infuocato ed intenso, ha ceduto il passo alle trame di cristallo del Notturno op. 9 n. 1.  Impeccabile lo Scherzo op. 39 n. 3, conclusivo della pregevole serata.

Memorie di grandi pianisti in concerto (2): Radu Lupu



Un più che mai affollato Teatro A. Ponchielli (Cremona) ha potuto soddisfare la grande e crescente smania di ascoltare un recital pianistico come pochi oggigiorno si possono captare.


Fiero ed imponete, con una barba sempre più lunga e canuta Radu Lupu si è seduto al pianoforte, assumendo una posizione talmente dominatrice e rapita da ricordare la silhouette di Johannes Brahms alla tastiera. Una frazione di secondo per raccogliere la concentrazione e subito lo scarno e conciso tema, quasi un motto, delle Variazioni in do minore di Ludwig van Beethoven cede il passo ad una serie di 32 Variazioni che, seppur nutrite, conservano sempre quel carattere scabro e grezzo in grado di mostrare la forma musicale ed il processo compositivo. 


Il Beethoven di Lupu è tutt’altro che freddo e granitico. Pur non abbandonandosi ad un edonismo sonoro, il suo pianismo riesce a mettere in luce una forte componente cantabile (soprattutto nella Sonata op. 101) unita ad una forma di rubato e ad un uso compiaciuto del pedale assai peculiari. Tutto ciò costituisce un carattere personalissimo e per nulla stereotipato del pianismo beethoveniano di Radu Lupu. 
Accanto al repertorio che gli è più congeniale (rappresentato dal Classicismo viennese), nella fattispecie da Beethoven, l’artista rumeno ha proposto due capisaldi del pianismo d’inizio Novecento, tra di loro eterogenei ma entrambi resi al pubblico in maniera eccelsa. 


La Sonata op. 1 di  Alban Berg ha seguito le Variazioni in do minore di Beethoven, così come l’intera prima serie dei Préludes di Claude Debussy ha seguito la beethoveniana opus 101. La scrittura pianistica di Berg, di idioma post-wagneriano, ha fatto da pendant alla musica di Debussy, dichiarata reazione a Wagner ed ai suoi epigoni, ma sicuramente debitrice al tanto criticato Tristan


E’ proprio nella musica di questi ultimi compositori, poco frequentati da Lupu, che emergono le vette più alte del suo pianismo. Una straordinaria capacità di concentrazione e di identificazione nell’opera  hanno contraddistinto la lettura dei 12 Préludes di Debussy, eseguiti senza soluzione di continuità e con fedele ispirazione ai testi evocatori posti dal compositore alla fine di ogni preludio, reminiscenze di un’arcana ed evanescente impressione. 

martedì 5 agosto 2008

Memorie di grandi pianisti in concerto (1): Grigory Sokolov


Grigory Sokolov


Grandiosa ed indimenticabile serata concertistica, quella di venerdì 28 marzo 2003, grazie ad una delle più grandi personalità del pianismo russo, Grigory Sokolov, il quale ha saputo infiammare il numeroso pubblico del Teatro «Ponchielli»  a Cremona.


E’ naturale, quando si ha la fortuna di potere ascoltare un pianista così perfetto nella cura delle dinamiche sonore - tanto da far dimenticare che il pianoforte è uno strumento a corde percosse, perché il suono che da esso ricava è più vicino a quello della voce umana o di uno strumento a fiato - vengono rapiti e sedotti dall’inebriante melos, non solamente gli orecchi più colti, ma  tutti coloro che sono sensibili al Bello.


Una incredibile lezione di gusto, serietà e  compostezza, quella dispensata da Sokolov.

Oggi, pianisti con una forte tensione artistica se ne vedono e se ne sentono sempre di meno in giro. E’ chiaro, abili giocolieri della tastiera si possono ancora trovare, ma musicisti veri, che pari grado possiedono una tecnica perfetta, un suono perlato e smagliante, uniti ad una mente analitica e pulsante, era sicuramente più facile trovarne in passato. Sokolov, però, sembra essere una proverbiale eccezione a questa “quasi-regola”. 


Assai interessante ed articolato il programma proposto. 

Il cesello sonoro di Sokolov ha restituito la Sonata in la BWV 985 di Johann Sebastian Bach, di gusto tipicamente italiano, e la Ciaccona per violino solo trascritta per pianoforte, non da Ferruccio Busoni, bensì da Johannes Brahms.

Seconda parte beethoveniana, protagoniste, le due Sonate op. 14 e la Sonata op. 28.

Incantevole, come sempre, il suono adamantino di Sokolov ha saputo evidenziare il classicismo del primo periodo di Beethoven, ma anche sottolineare la processualità della forma, misura e guida nella musica del «Genio di Bonn».


Lo “Zar” del pianoforte, nonostante avesse suonato per quasi due ore, ha concesso generosamente cinque bis, tra i quali hanno spiccato per acrobaticità, la Toccata di Maurice Ravel da Le Tombeau de Couperin, e, per raffinatezza e galanteria, Soeur Monique di François Couperin.