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mercoledì 24 dicembre 2008

Buon Natale!!!

Il primo Natale di Eugenia Takako Bosio


PRELUDIO D'ORGANO

IN SAN LUCA


organo “Giuseppe Rotelli” (1901)

mercoledì 24 dicembre 23,30


Puer natus est


PROGRAMMA



César Franck (1822-1890) Verset pour le Kyrie de la Messe de Noël (da L’Organiste II)


Marcel Dupré (1886-1971) Wachet auf ruft uns die Stimme op. 28, n. LXXII


Jean Langlais (1907-1991) Noël Breton (da 8 Chants de Bretagne)


Marcel Dupré In dulci jubilo op. 28, n. XLI


Jeanne Demessieux (1921-1968) Rorate coeli op. 8, n. I


***


DOPO LA MESSA


César Franck Grand Choeur in Do (da L’Organiste II)





Michele Bosio,  organo

domenica 14 dicembre 2008

VINCENZO ANTONIO PETRALI «IL PRINCIPE DEGLI ORGANISTI ITALIANI»







Figlio d’arte, Vincenzo Antonio Petrali nacque a Crema il 22 gennaio 1830 (non del 1832, come erroneamente riportato in numerose voci biografiche). Dopo aver ricevuto i primi rudimenti musicali dal padre Giuliano, fu affidato alla sapiente guida di un altro grande musicista cremasco, Stefano Pavesi (1779-1850), che guidò il giovane attraverso il rigore e la disciplina del contrappunto e della composizione musicale. Entrò poi al Regio Conservatorio di Milano, dove poté perfezionarsi con Antonio Angeleri (1801-1880), docente di pianoforte dal 1826 al 1871, ed affinare le proprie cognizioni nell’arte della composizione con Placido Mandanici (1798-1852). Nel 1847 concluse il suo iter di studi accademici.

Petrali possedeva straordinarie doti musicali, tanto da poter passare con disinvoltura dal violino al violoncello, al contrabbasso, e conseguentemente poter accettare scritture teatrali per suonare in orchestra ciascuno di questi strumenti (anche l’assidua frequentazione con l’illustre cugino Giovanni Bottesini, più vecchio di lui di nove anni, dovette contribuire non poco alla formazione del giovane musicista). Non solo, riscosse ben presto successi sia come compositore, direttore di coro, orchestra e banda; ma il campo in cui eccelse sopra tutti fu quello dell’improvvisazione organistica. Persino un affermato ed acclamato compositore, come il cremonese Ruggero Manna (1808-1864), rimase davvero impressionato dalle improvvisazioni che il diciannovenne Vincenzo produsse all’organo della Cattedrale di Cremona nel 1849 in occasione del concorso di organista titolare della Cattedrale; concorso che in Nostro stravinse.


Nel panorama musicale italiano d’allora, dominato dalla musica di grandi operisti del calibro di Gioachino Rossini, Gaetano Donizetti, Vincenzo Bellini e Giuseppe Verdi, per poter farsi notare bisognava cimentarsi nel genere melodrammatico. Così che Vincenzo, poco più che ventenne, compose il suo primo melodramma Manfredi di Napoli, scritto per il Teatro Santa Radegonda in Milano. La censura austriaca proibì l’opera, il cui libretto era stato ricavato dall’omonimo romanzo del “mazziniano” Francesco Domenico Guerrazzi (1804-1873), ed «in un momento di sdegno del Maestro» lo spartito finì sul fuoco. Il successo arrivò con la sua seconda opera Giorgio di Bary, che andò in scena al Teatro Sociale di Bergamo durante il carnevale 1853-1854 (più precisamente la sera del 10 febbraio 1854), poi crebbe di popolarità passando per Crema, Brescia ed in altri teatri italiani.



Nel 1853, il Petrali era divenuto collaudatore ufficiale dei celebri organari Serassi, la cui fabbrica aveva sede a Bergamo nel palazzo Stampa, ma solamente nel 1868 egli si trasferì in quella città - che divenne la sua patria adottiva - ed ivi rimase sino al 1882.


A questo punto, pare indispensabile ricordare che i fratelli Serassi furono presenti a Castelleone con ben quattro strumenti: per la parrocchiale dei Santi Giacomo e Filippo (1797), per il Santuario della Beata Vergine della Misericordia (1836), e per le chiese di San Rocco (1788) e della Santissima Trinità (1792). Ed è proprio in questo Santuario che a tutt'oggi è sopravvissuto l'unico strumento dei Serassi edificato per Castelleone. La scelta di eseguire su questo strumento la Messa Solenne in Fa di Petrali, trova quindi una giustificazione storica del tutto pertinente.


La musica di stampo operistico trovava ampio spazio anche durante la celebrazione dei Sacri Riti - in chiesa - con le improvvisazioni organistiche del Nostro, le quali traevano linfa vitale dalle romanze, dai ballabili o dalle marce di un Giuseppe Verdi, piuttosto che di un Giacomo Meyerbeer. La maggior parte della sua produzione organistica, almeno sino agli anni Settanta dell’Ottocento, si spinse in questa direzione. La tipologia di strumenti costruiti dalla ditta Serassi di Bergamo trovò in Petrali un sorprendente mezzo di diffusione e promozione, così come la sua arte improvvisativa trovò la via del successo nel modello di organo serassiano. Strumento in cui accanto al classico Ripieno trovano posto numerosissimi strumenti da concerto (ad anima e ad ancia), nonché svariati effetti rumoristici e coloristici, come la Banda turca, il rollante, i timpani, i campanelli e le campane.


Ma, il Petrali seppe perfettamente destreggiarsi anche con altri rinomati organari italiani, quali Luigi Lingiardi di Pavia (che non sopportava il mutevole carattere di Petrali), Pacifico Inzoli di Crema; soprattutto Giacomo Locatelli, discepolo prediletto dei Serassi.


Ricordiamo che nella Parrocchiale di Castelleone prima dell'attuale organo edificato nel 1925 da Giovanni Tamburini di Crema, vi furono diversi strumenti. Dopo il già citato Serassi del 1797, Pacifico Inzoli di Crema compì un restauro nel 1868 - collaudato da Giulio Corbari straordinario musicista formatosi al Conservatorio di Milano, che operò a Castelleone e che morì prematuramente nel 1877, all'eta di 33 anni (artista dimenticato ed in attesa di essere riscoperto e studiato) - ma, nel 1875 Luigi Lingiardi costruì un grandioso organo-orchestra (un particolare tipo di strumento di sua invenzione) che il 25 ottobre venne collaudato proprio da Vincenzo Petrali e da Gaestano Zelioli organista del Santuario di Caravaggio.


Tra il 1856 ed il 1859, fu maestro di cappella del Duomo di Brescia ed in questo periodo compose anche la sua terza opera Anna di Valenza, che fu scritta per incarico dell’Impresa Rovaglia del Teatro Carcano di Milano, ma non venne mai rappresentata.

Tra il 1860 ed il 1872 fece ritorno al paese nativo, Crema, come maestro di cappella del Duomo e direttore della Banda cittadina; nel frattempo compose la sua quarta opera Maria de’ Griffi, che andò in scena nel 1864 al Teatro Riccardi di Bergamo.

Tra il 1872 ed il 1882, fu prima organista e poi maestro dell’insigne Cappella di Santa Maria Maggiore a Bergamo. Gli succedette Amilcare Ponchielli (1834-1886) che fu maestro di cappella dal 1882 al 1886, il quale rimase fortemente impressionato dall’arte improvvisativa del Maestro organista, lo definì: «grande e potente». Dal 1873, cominciò ad insegnare anche presso l’Istituto Musicale di Bergamo, ed in seguito ne divenne direttore.

Il 26 ottobre 1882 fu nominato docente di organo, armonia, pianoforte, contrappunto, composizione e strumentazione per banda presso il neonato Liceo Musicale Rossini di Pesaro, chiamato per chiara fama, dal direttore Carlo Pedrotti (1817-1893).

Il 24 novembre 1889, dopo breve malattia di natura epatica, il Nostro si spense prematuramente a Bergamo. Nonostante compose quattro opere, un oratorio (Debora, composto nel 1859 ed eseguito nel 1880), la musica per l’azione mimica l’Alloggio militare (composta nel 1878), quartetti per archi, sonate per violino e pianoforte, diversa musica per banda e molta musica sacra, egli sarà sempre ricordato come superbo ed ispirato improvvisatore all’organo.


La Chiesa che il Nostro aveva sempre servito arricchendo con grande musica la celebrazione dei sacri riti, purtroppo non gli rese i doverosi onori funebri, macchiandosi così di un gravissimo torto. Nel 1883 il Petrali, rimasto vedovo di Maria Ottolini di Crema, sposò in seconde nozze Carolina Cicognara di Bergamo con rito civile, poiché di religione protestante, ragion per cui alla sua morte i ministri del culto vietarono il funerale religioso ed impedirono la sua tumulazione nel cimitero di Bergamo accanto alle salme cristiane.





INTRODUZIONE ALLA MESSA SOLENNE IN FA MAGGIORE PER ORGANO SOLO DI VINCENZO ANTONIO PETRALI



All’incirca nell’ultimo ventennio del Diciannovesimo secolo si fece pressante il bisogno di una musica liturgica, non più di stampo romantico-melodrammatico, bensì d’autentica ispirazione sacra (canto gregoriano, polifonia classica). Incominciò ad attecchire in Italia la Riforma Ceciliana, che riformando la musica sacra riformò anche l’organo.

Poco alla volta gli strumenti con registri spezzati, pedaliera corta, ed effetti bandistici (come quelli realizzati dai Serassi e dai Lingiardi e collaudati dal Petrali) vennero sostituiti da organi dotati di almeno due tastiere, di pedaliera completa e di registri interi. Il Petrali seppe adattarsi ai tempi, tanto che nel 1886 fondò insieme a Giuseppe Arrigo (1838-1913) un mensile di musica religiosa intitolato «Arpa Sacra», pubblicato a Torino dagli editori Giudici e Strada, guardando così in favore del neonato Movimento Ceciliano.

La Messa Solenne in Fa maggiore venne pubblicata per l'appunto nel 1888 nella seconda annata di «Arpa Sacra», al contrario dell'altra Messa Solenne per organo, in Re maggiore, (pubblicata probabilmente intorno agli anni Cinquanta dell'Ottocento e più volte ristampata dall'editore Giovanni Martinenghi di Milano) - che costituisce un mirabile esempio di stile melodrammatico, in cui vengono sfruttate al massimo le potenzialità degli organi-banda, ricchi di molti registri da concerto ed effetti tipici dell'organico strumentale impiegato nella musica operistica di quel tempo - questa in Fa maggiore, invece, venne composta per organo a due tastiere con pedaliera di 27 note, in cui lo stile «legato» (severo, contrappuntistico) la fa da padrone.

Se volessimo cercare dei modelli a questa Messa, li troveremmo in compositori d'oltralpe classico-romantici, quali Haydn, Beethoven e Mendelssohn, piuttosto che in Donizetti o Bellini. Anche se l'adesione di Petrali ad uno stile più osservato, non gli impedì certo di liberare la sua copiosa vena melodica, tutta italiana. Un po' come successe all'ultimo Verdi, cioè quello dell'Otello e del Falstaff, che mettendosi in discussione rielaborò originalmente e genialmente modelli operistici d'oltralpe.

Nei Preludi, alla Messa e all'Epistola, troviamo un uso magistrale del contrappunto con episodi fugati dal carattere severo, mentre nell'Elevazione troviamo persino la rigida forma del canone. Ma, in alcuni versetti per il Gloria ritornano reminiscenze belcantistiche come ad esempio nel secondo versetto - un magnifico Andantino per flauto solista - , o nel quarto, in forma di breve romanza per clarinetto basso. Non mancano neppure veri e propri esempi sinfonici come la grande Sonata per l'Offertorio, oppure fedeli modelli bandistici come la Sonata finale, una energica marcia che sembra essere stata ridotta da un originale pezzo strumentato per banda.

Questa sera non ascolteremo tutta la Messa, bensì una selezione dei brani più caratteristici e che ben si adattano alla variegata tavolozza timbrica dell'organo del Santuario (purtroppo oggi non in ottima forma e bisognoso di un auspicabile intervento di straordinaria manutenzione, che lo riporti in condizioni ottimali), ascolteremo: Preludio alla Messa, Versetti per il Gloria (7, da eseguirsi in alternatim con il canto gregoriano, ma stasera presentati di fila), Elevazione e Sonata finale.


Ricordo, infine, che è in vendita la registrazione completa della Messa Solenne in Fa maggiore edita dalla casa discografica Bongiovanni di Bologna ed eseguita da Paolo Bottini all'organo Lingiardi (1865) della chiesa parrocchiale di Croce S. Spirito in Castelvetro Piacentino con gli interventi solistici del soprano Hiroko Miura.