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mercoledì 10 dicembre 2014

MICHELE BOSIO, Brevi appunti sulle commemorazioni della morte di Marco Enrico Bossi, estratto da «Strenna dell'ADAFA»




Brevi appunti sulle commemorazioni   
della morte di Marco Enrico Bossi  
a Cremona (1925, 1932) 
e nel Cremonese (1926, 1927) 


Penso che, quando ci si accinge a ricordare una personalità illustre scomparsa alla quale ci si è rivolti con grande ammirazione, si debba cercare di farlo illustrando il peculiare legame che con essa si è maturato nel tempo. 
Ecco perché il presente contributo – umile omaggio a Marco Enrico Bossi nel suo 150° genetliaco – prende le mosse dal legame che s’è colto tra la sua nobile arte e la città in cui chi scrive vive e lavora. 

Sebbene Bossi non fosse stato il protagonista in carne e ossa della vita musicale cremonese fu comunque onnipresente – con la sua musica – in ogni collaudo o audizione organistica. Non solo, le sue idee di rinnovamento musicale, organologico e liturgico furono irradiate nel capoluogo di provincia grazie alle sincere testimonianze di Ulisse Matthey, Vincenzo Germani e Ubaldo Ferrari: amanti dell’arte, assolutamente scevri dall’idea del servirsene come tramite autoreferenziale. 
Alla luce di ciò appare quanto meno curiosa la coincidenza che, nel dicembre del 1925, vide sancire ufficialmente la nascita della Schola Cantorum “Santa Cecilia” – sorta in seno alla sezione cremonese dell’AISC [Associazione Italiana Santa Cecilia] – proprio durante l’Accademia per commemorare Marco Enrico Bossi. Di seguito ci si concentrerà soprattutto sulle varie testimonianze – che si svolsero a Cremona e nel Cremonese tra il 1925 e il 1932 – in memoria del Maestro. 


In tutto il mondo vi furono solenni commemorazioni per ricordare la figura di Marco Enrico Bossi (Göteborg, Lugano, New York, Buenos Ayres, Budapest, Parigi, Roma, Bergamo, Venezia, Salò, Brescia, Napoli, Firenze, Torino, Parma, Padova, Milano, Siena, Genova, Bologna, Trieste, Ferrara, Mantova, Fiume, Udine, Trento, Verona, Pesaro, Ancona, etc.), tra le molteplici iniziative ben quattro videro la luce in territorio cremonese. 

La prima iniziativa – come s’è detto – ebbe luogo durante l’Accademia Ceciliana del 9 dicembre 1925, svoltasi presso la chiesa dei Padri Barnabiti di San Luca a Cremona e promossa da Ubaldo Ferrari, Vincenzo Germani e Federico Caudana. 

La seconda – su cui ci si soffermerà – si tenne a Castelleone (Cr) il 21 aprile del 1926 con un concerto per organo e canto eseguito dall’amico e collega Ulisse Matthey in collaborazione col soprano Stella Calcina, preceduto da una conferenza di Ubaldo Ferrari . 

La terza si tenne a Crema (Cr), il 17 dicembre 1927, presso l’Istituto Musicale “Luigi Folcioni” con Anna Freda, Michelangelo Abbado, Riccardo Malipiero, Costante Adolfo e Renzo Rinaldo Bossi. 

Infine, la quarta commemorazione si tenne a Cremona, al Teatro “Amilcare Ponchilelli”, il 19 dicembre del 1932; protagonisti furono il celebre Quartetto Poltronieri, di nuovo Costante Adolfo e Renzo Rinaldo Bossi. 

Il primo segno di omaggio nei confronti del Maestro fu piuttosto di carattere simbolico, poiché durante l’«Accademia Musico-Letteraria» del 1925, Ubaldo Ferrari tenne una dotta lezione su due diverse personalità artistiche, quali Luigi Bottazzo (1845-1924) e Marco Enrico Bossi (1861-1925), col fine di presentare al pubblico la neonata Schola Cantorum “Santa Cecilia”, fondata e diretta da Vincenzo Germani. 
Si gettarono così – anche a Cremona – le basi per un sano rinnovamento liturgico-musicale all’insegna di due pilastri del Cecilianesimo italiano da poco scomparsi. Federico Caudana – che in quell’occasione sedeva all’organo Giuseppe Rotelli (1901) della chiesa di San Luca – eseguì solamente due brani solistici. Nella fattispecie un non identificato pezzo di Bottazzo e l’immancabile Canzoncina a Maria Vergine op. 113 n. 3 del Bossi; fu invece riservato largo spazio al coro, che propose musiche di Franco Vittadini, Lorenzo Perosi e del Caudana stesso. 
Il seme ceciliano pare fosse stato accolto molto positivamente all’epoca; e l’idea che sia stata la guida spirituale del compianto Bossi a farlo germogliare, mi pare assai commovente. Le parole dell’anonimo articolista del periodico cremonese «La Voce» furono davvero entusiastiche: 

[…] L’Accademia Ceciliana […] presentò la felice occasione di commemorare i defunti Bottazzo e Bossi, e di presentare al pubblico la nuova “Schola Cantorum” che la tenacia del M. Germani e la buona volontà di numerosi coristi cittadini hanno dato alla nostra Diocesi. Oh! Fossero stati più numerosi i Sacerdoti ed i buongustai: l’Accademia li avrebbe pagati ad usura dell’incomodo […] L’avv. Ubaldo Ferrari […] parlò con verve e competenza profonda dei defunti Maestri e seppe riunire, cosa difficile invero, in un sol spirito di arte e di religiosità due temperamenti artistici disparatissimi, Bottazzo e Bossi. […] La cappella è matura per qualsivoglia genere di produzioni sacre […] diede segno di un amalgama notevolissimo […] siamo arrivati al colore e al calore […] Diamone lode […] a quest’ultimo [Vincenzo Germani] in modo singolarissimo perché alla preparazione univa una direzione che meravigliò altamente, per la cura intelligentissima del tutto, per il dosamento della sonorità, per la precisione della battuta e per l’impeto superbo della interpretazione. Il M. Caudana che accompagnò da pari suo all’organo l’intera audizione, può ben essere soddisfatto ed altero nel cogliere i frutti della sua vasta opera di propaganda e di insegnamento per l’arte sacra in questa nostra città. 

A Castelleone, tra il 1925 e il 1926, vi furono molteplici eventi legati al nuovo organo della chiesa parrocchiale dei Santi Giacomo e Filippo con ben sette concerti tenuti dal leggendario virtuoso Ulisse Matthey. 
Il grande organo costruito da Giovanni Tamburini si presentava diviso in tre corpi (due che si fronteggiavano l’un l’altro in presbiterio, il terzo in contro facciata) ed era già pronto all’inizio del 1925, ricevette infatti collaudo parziale durante i concerti svoltisi il 3 e il 4 gennaio. Ma il collaudo definitivo fu fatto – con altrettanti concerti – il 3 e il 4 novembre di quell’anno. 
In realtà il Matthey fu a Castelleone anche il 26 dicembre del ’25; qualche mese più tardi – il 21 aprile del ’26 come s’è detto – si celebrò la solenne commemorazione di Marco Enrico Bossi. 
In tale occasione il maestro torinese fu il protagonista di uno straordinario concerto, durante il quale eseguì tre brani famosissimi del Bossi: la Scena pastorale op. 132 n. 3, la Canzoncina a Maria Vergine op. 113 n. 3 e il Tema e Variazioni op. 115. Non solo, accompagnò anche il soprano torinese Stella Calcina nell’esecuzione di due mottetti, sempre dell’Autore, il celeberrimo Sanctus et Benedictus e Dio siete buono op. 98 n. 2. Naturalmente furono proposte anche musiche di altri compositori, ma il brano che rese unico il concerto fu sicuramente In paradisum, mottetto scritto per l’occasione da Matthey stesso la notte prima. 

Ecco alcuni stralci dalla recensione di Ubaldo Ferrari: 

[…] Si trattava di una solenne commemorazione di Marco Enrico Bossi. Ed essa riuscì, è doveroso dirlo subito, nel modo più degno. [...] Il concerto si componeva di due parti. La prima riservata esclusivamente al Commemorato fece convergere l’applauso del pubblico sulla Scena pastorale e sulla Canzoncina alla Vergine deliziosamente attaccate e trattate. In realtà la esecuzione era stata anche di grado maggiore nel formidabile Tema con variazioni la cui originalità personale risultò sorprendentemente nell’ultimo fugato nel quale non sapemmo se ammirare di più la chiarezza dell’esecutore o la massiccia concezione dell’autore. […] Dovremo concludere che nessuno meglio di lui [del Matthey] e proprio all’organo, poteva dar celebrazione al nome di Bossi; di quel Bossi cioè che tanto aveva compreso la altezza del di lui merito da dedicargli uno dei suoi ultimi e capitali lavori quale la Fantasia sinfonica per organo e orchestra. Compagna fedele anche stavolta al Matthey fu la gentile signorina professoressa Stella Calcina. Essa pure volle recare il suo contributo alla commemorazione. E cantò con impeto, con bella intonazione e con squisitezza di intelligenza accanto al Sanctus e Benedictus, una larga e passionale espansione Dio come siete buono, appunto del Bossi. […] La Calcina volle darci una gradita sorpresa con un mottetto del Matthey nella notte antecedente composto alla memoria del preclaro Scomparso. Una ricerca cromatica dal significato doloroso ma dal respiro per così dire cristiano: quali le parole imprese a musicare, che dicono di speranza e di consolazione ineffabile in paradisum deducant Angeli, in tuo adventu suscipiant te martires... 

Come accennato il forbito avvocato penalista e critico musicale Ubaldo Ferrari realizzò un appassionato excursus storico-biografico su Marco Enrico Bossi. Per dare un’idea dell’enfasi da egli espressa nell’orazione ecco le accese parole pubblicate nel marzo del 1925 – a breve distanza dalla triste dipartita del Maestro – sul periodico milanese «La Festa»: 

[…] Non è da dimenticarsi la sua [di Bossi] opera di italianità nei tempi per noi più difficili. […] [M. E. Bossi] era ancora più vivo all’estero dei suoi grandi compagni, Martucci e Sgambati. [...] Nessuno, all’estero si permetteva di discutere sopra il suo nome di compositore e di esecutore. Solo in Italia si ostentava un agnosticismo degno d’oblio! […] Corsero per le mani degli umili, brevi composizioni che recavano il suo nome.[...] Su tutti una linea di sobrietà e di signorilità che disse quell’arte riserbata agli eletti. Ma accanto a queste, per troppo tempo quasi ignorate, stavano le pagine sinfoniche di alta dignità, primissime quelle che pongono nella luce dovuta lo strumento a lui caro. […] In tutte le forme, in breve, dell’arte musicale egli contenne le ali, sebbene il regno dell’assoluta libertà meglio offrisse alla sua genialità, l’espansione ed il volo. Apostolo infaticabile pertanto delle cattedre direttoriali dei conservatori di Venezia, Bologna e Roma, della musica pura, poteva ben vantarsi epigone della rinascita culturale italiana. […] L’Italia! Era annunziato un suo concerto e il nome d’Italia gli era d’accosto. Nel mentre le sue mani toccavano l’organo, con i suoni magicamente combinati, voci represse sussurravano con il suo, l’altro nome a lui dilettissimo. Nel plauso del pubblico commosso, nel consenso entusiastico ormai consuetudinario della critica, i due nomi erano sposati in un connubio pieno di orgoglio e di vertigine d’amore. […] Guilmant a Torino lo abbracciava chiamandolo il maggiore del mondo. Widor, principe parigino ed europeo, rimaneva estatico e si inchiodava presso lui ad ogni suo concerto, contemplando senza far motto la tenerezza e l’impeto dei suoi inimitati pedali. Egli […] intonando le visioni dell’anima sua nella meditazione dello scritto o nella liberazione spontanea dell’improvviso, sentiva oltre la dottrina, oltre la scienza che dava armonia alle linee e finitezza di slancio alle architetture, sgorgare incomprimibile, quasi voce della patria, la nostra, tutta nostra, alata melodia. E questa era per lui poesia ed incanto, aspirazione e preghiera, compenso e pace... Quella pace che non più inconsapevole o dimentica, tardi pur troppo, l’Italia intera gli ha supplicato al suo fatale ritorno sul mare. 

Parole di grande attualità, specialmente considerando la coincidenza tra il 150° anniversario della nascita di Marco Enrico Bossi e quello dell’Unità d’Italia. Un concetto – quello di «italianità» – tanto più vivo nei nostri cuori quanto più ci si allontana dalla patria. 

Come si diceva, l’«epigone della rinascita culturale italiana» fu omaggiato anche a Crema nel dicembre del 1927; in questa occasione Renzo Rinaldo (pianoforte) e Costante Adolfo (organo) furono coadiuvati dai solisti Anna Freda (arpa), Michelangelo Abbado (violino) e Riccardo Malipiero (violoncello). 
Il programma della serata al “Folcioni” – promossa dalla Società del Quartetto – venne diviso in due parti: la prima con musiche di Domenico Zipoli, padre Giovanni Battista Martini, Tommaso Vitali e Max Bruch; mentre la seconda costituiva il vero e proprio omaggio a Bossi. 
Furono eseguiti, infatti, Quattro pezzi in forma di suite op. 99 per violino e pianoforte (Romanze, Auf dem Rasen, Wiegenlied, Bacchische Scene) Rêverie, Minuetto e Musetta dai Feuillets d’album op. 111 per violoncello e pianoforte, nonché Épousailles op. 134 per violino, violoncello, arpa e organo. 

La prosa dell’anonimo articolista de «Il nuovo Torrazzo» non brilla certo per eleganza stilistica e pregnante contenuto, ma ci illumina ugualmente sulla ricezione della musica attraverso le caratteristiche degli esecutori: 

[…] Applauditissimi furono i pezzi delle composizioni del nostro indimenticabile M° Enrico Bossi. Sul prato [Auf dem Rasen] alquanto giulivo. Berceuse [Wiegenlied,] grazioso fraseggiare di suoni che s’inseguono e s’alternano, Minuetto e Musetta movimentato ed originalissimo. 

Il pezzo finale Sposalizio [Épousailles] […] ha fatto intravvedere il pensiero potente dell’autore racchiuso nel tema stesso. Il violoncello e l’organo che finemente espressero la sfilata del corteo, l’arpa che diede il suono delle campane a tocchi, disteso dapprima e poi intrecciato delicatamente, il violino che interpretò l’incontro trepidante ed espansivo degli sposi... hanno trasportato gli uditori per un quarto d’ora nel cielo purissimo della musica. […] 

Nel dicembre del 1932 Costante Adolfo e Renzo Rinaldo si prodigarono per ricordare il «preclaro Scomparso», assecondando questa volta – al Teatro “Ponchielli” di Cremona – il Quartetto Poltronieri. Come accadde per la serata cremasca del 1927, il programma prevedeva una suddivisione in due parti. Durante prima gli strumentisti ad arco ebbero modo di mostrare la loro maestria con due capolavori: il celeberrimo Quartetto in Fa maggiore op. 96 «Americano» di Antonìn Dvořák e un non precisato Quartetto in Re maggiore di Franz Joseph Haydn. Il secondo tempo del concerto, invece, fu occupato interamente dal Poemetto Santa Caterina da Siena di Marco Enrico Bossi. 

Di quella serata abbiamo un’interessante recensione di Ubaldo Ferrari che – poco soddisfatto di come Costante Adolfo Bossi avesse suonato la complessa parte pianistica – lodò la grande perizia del violinista Enrico Poltronieri. Inoltre, il Ferrari tratteggiò con grande efficacia la sapiente scrittura di Marco Enrico Bossi: 

[…] C’era anche un poemetto postumo di Marco Enrico Bossi. La nostra fu tra le non molte città d’Italia che vollero chiudere con una solenne e commossa celebrazione la sua memoria, non appena la sua venerata e lacrimata salma ci giunse d’oltreoceano. […] Il poemetto si snoda con altezza e con semplicità: le doti di questo autentico signore dell’armonia e della declamazione mistica furono subito avvertite. Le sei «sintesi psichiche» alias i sei temi conduttori, apparvero felici e soprattutto feconde di uno sviluppo contrappuntistico di primo ordine. Certamente la parte spirituale relativa alla vita interiore della Santa, convinse maggiormente: essa è davvero riuscita pienamente e conseguì stupendi effetti di commozione: dalla estasi alla assunzione vorrei dire che fu un crescere di piano in piano e l’affermarsi e il confermarsi di una bellezza sempre più grandeggiante. L’esecuzione non scriverei sia stata perfetta, se non da parte del violino solista, il Poltronirei; il pianoforte (M. Adolfo Bossi) che aveva una parte preminente coperse troppo e troppo aspramente e con durezza gli altri strumenti. Eppure il pubblico fu vinto e conquistato dal merito intrinseco dell’opera d’arte: e applaudì a lungo con perfetta giustizia. 

Secondo Giulio Cesare Paribeni, il Poemetto Santa Caterina da Siena – composto pochi mesi prima d’intraprendere il fatale viaggio in America – è da considerarsi come l’ultimo messaggio musicale di Bossi ai posteri: «non si può considerare senza commozione come il presago sentimento del Maestro abbia affidato a queste pagine, riboccanti di un misticismo umile e profondo, l’ufficio di formare il proprio inedito testamento artistico». 

Non è quindi un caso che – tra il febbraio del 1926 e il dicembre del 1932 – i congiunti del Maestro, insieme al Quartetto Poltronieri, abbiano fatto di questo brano il vessillo della nobile arte di famiglia, presentandolo in tutt’Italia nel corso di una trentina di concerti. 
La versione originale dell’opera – pubblicata postuma, nel 1928 da Euterpe di Zurigo – è per violino e pianoforte, ma l’Autore segnò sul manoscritto alcune indicazioni strumentali fatte proprie in seguito dal figlio Renzo Rinaldo, che elaborò un stesura strumentale per violino solista, quartetto d’archi, arpa, celesta e organo; simile nei colori a Épousailles op. 134. Durante la settennale tournée commemorativa oltre a questa versione – pubblicata, sempre da Euterpe, nel 1936 – gli esecutori ne proposero anche una per violino solista, quartetto d’archi e pianoforte; come per l’appunto fecero durante il concerto cremonese del 19 dicembre 1932. Data quest’ultima che segna anche la fine del ciclo di concerti in cui venne promosso e celebrato il poemetto Santa Caterina da Siena.