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lunedì 26 ottobre 2009

Filippo Capocci secondo Marco Limone



Così come abbiamo fatto recentemente per i primi due volumi dell'opera omnia per organo di Marco Enrico Bossi interpretata da Andrea Macinanti è assolutamente doveroso spendere qualche riga ai fini di rilevare l'importante ruolo svolto da Filippo Capocci (1840-1911) all'interno della storia musica per organo in Italia a cavallo dei secoli XIX-XX.

Capocci nacque a Roma l'11 maggio del 1840, fu allievo del padre Gaetano (1811-1898), anch'egli organista e compositore. Si diplomò in organo all'Accademia Santa Cecilia di Roma, dal 1873 assunse l'incarico di organista della Chiesa di San Giovanni in Laterano e dal 1898 ne divenne, succedendo al padre, maestro di cappella.

Nel 1886 Nicola Morettini di Perugia ebbe l'arduo compito di costruire due nuovi organi per la Basilica Lateranense in Roma; guidato dai saggi consigli di Capocci junior, seppe condurre a termine due grandiosi strumenti che segnarono la storia dell'organaria italiana di fine secolo (XIX). Infatti, l'organo maggiore (3 tastiere, pedaliera di 30 note e 46 registri interi) fu il primo strumento italiano ispirato ai modelli della riforma ceciliana (per la cui trattazione rimandiamo alle sopraccitate recensioni) - della quale Capocci fu convinto assertore, alfiere e propugnatore - completando, con il suo alto magistero compositivo, il percorso avviato dall'ultimo Petrali ed aprendo conseguentemente la strada al nascente astro musicale di M. E. Bossi.

Egli fu, inoltre, docente d'organo all'Accademia Santa Cecilia di Roma, nonché insegnante della Regina Margherita. Valente compositore ed apprezzatissimo concertista, collaudò i più importanti strumenti nati dalle idee del Cecilianesimo.

Se volessimo accostarlo ad una delle grandi figure della scuola organistica francese coeva, potremmo senza smentita paragonarlo al “patriarca” Alexandre Guilmant (1837-1911), insieme al quale tra l'altro collaudò diversi importanti strumenti. Il nome di Capocci fu onnipresente nelle commissioni esaminatrici per il collaudo degli organi riformati in Italia, nonché nei consigli dei numerosi congressi di musica sacra.

Dopo un'intera esistenza dedicata allo studio e alla divulgazione della musica sacra - non solo attraverso la musica degli antichi maestri (italiani e d'Oltralpe), ma anche grazie ad una nutrita e fortunata serie di composizioni originali - il “patriarca della riforma” si spense a Roma il 25 luglio 1911, a quasi quattro mesi di distanza dalla dipartita del francese Guilmant.

Tra le composizioni organistiche scelte da Marco Limone per il suo disco antologico spiccano quattro meravigliosi brani (Arioso, Allegretto, Canzona e Marche Trionphale) dai Dix pièces pour orgue, pubblicati dall'editore parigino Alphonse Leduc nel 1894, con dediche ad eminenti personalità del mondo organistico francese, quali Charles-Marie Widor, Thèodor Dubois ed Eugéne Giugout, sono per citarne alcuni.

Tutte composizioni strutturate con un esemplare senso della forma musicale ed un magistrale uso sinfonico dei colori dell'organo; proiettate verso il romanticismo d'Oltralpe, tanto da far pensare che fossero trascorsi parecchi decenni dai colori bandistici della scuola ottocentesca lombarda - al contrario - appena lasciata, voltato l'angolo.

Intendiamoci bene, il “sinfonismo” di Capocci, pur essendo in linea con quello francese, non tradisce comunque il gusto per la melodia e la cantabilità ereditati dalla tradizione italiana. Fine contrappuntista, come ampiamente dimostrato dal severo Preludio e fuga in re minore e dal geniale Offertoire sur le Nöel - in cui il canto Adeste Fideles viene sapientemente variato, modulando in varie tonalità, alcune delle quali arditamente raggiunte - non è mai avaro di “vena melodica” (si ascoltino, per esempio, lo Scherzo in re maggiore o la patetica Elegia).

Le variegate sonorità dell'organo Vegezzi-Bossi (1916-1936) della Cattedrale di San Giusto a Susa - meraviglioso strumento spesso utilizzato da Andrea Macinanti per le sue letture dei classici ceciliani - vengono qui messe in risalto attraverso la partecipata e competente esecuzione del maestro torinese Marco Limone, il quale ha rinunciato (come del resto anche con il CD di Petrali) alla scelta di incidere un'intera raccolta organica - ad esempio la Premiére Suite de Trois Morceaux, le Sei Sonate per organo, i Six pièces caractèristique, o tutti i Dix pièces - in favore di una più appetibile antologia di varie composizioni (nella quale, fortunatamente, non manca uno dei brani più richiesti all'epoca: l'Inno Trionfale).

Ma, a nostro avviso questo disco - della durata di poco meno di un ora - ci lascia ancora un po' di “appetito”, fungendo - per così dire - da “aperitivo”.

Dal momento che i risultati raggiunti da Limone sono stati ottimi, attendiamo un seguito a questa prima fatica dedicata alla musica di un grande, ma - ahi noi! - dimenticato compositore italiano.

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